Arusha (Tanzania)
Safari nel Tarangire National Park (Tanzania)
Se da piccola mi avessero detto che un giorno avrei toccato con mano, e visto coi miei occhi, la terra del mio adorato Simba, non ci avrei creduto. Mai e poi mai. Oggi, alla veneranda età di 29 anni, posso dire con certezza che il mondo del Re Leone esiste davvero. Ed è stupendo. La prima giornata del mio itinerario in Tanzania è trascorsa così, tra giraffe, zebre, leoni, scimmie, Baobab e tutto quello che solo l’Africa viva e interna è in grado di custodire, come un gioiello prezioso.
Safari nel Tarangire National Park
Loro lo chiamano “Simba”, il Re della Foresta, the King. Nel cuore della Tanzania, il leone detta legge, domina, caccia, è il predatore per eccellenza. La seconda giornata dell’itinerario in Tanzania è trascorsa osservando la maestosità dei tanti Simba che qui vivono in assoluta libertà. E mentre la jeep si inoltra nel cuore del parco, scene di innaturale dolcezza mi passano accanto. Ed un cucciolo di babbuino fa capolino dalla schiena della sua mamma…Yes, that’s Africa.
LEGGI ANCHE: Viaggiare in Tanzania, tutto quello che devi sapere
Dormire in una Lodge
L’esperienza di dormire in una Lodge del Tarangire National Park in mezzo alla foresta, circondata dai rumori della natura, è una di quelle che non dimenticherò mai. La mia “casetta” è una specie di palafitta rialzata, fatta solo di tende e zanzariere. Tra me e gli animali non c’è nient’altro. Soltanto i Masai girano attorno, di notte, con torce e fucili, pronti a scacciare ogni pericolo. Ogni minuto è un rumore diverso, terribile… E se di giorno la natura ti affascina, ti ammalia, ti fa sentire viva, di notte, quando calano le tenebre e il buio attornia ogni cosa, essa mostra il suo lato più scabroso. Quel che sto imparando qui, però, è che l’alba arriva sempre. E allora il fuoco rimasto acceso per tenere lontano gli animali si spegne, la luce solare torna a regalare l’elettricità e tutti sono pronti per un nuovo, splendido, giorno.
Cratere ‘Ngorongoro (Tanzania)
Il villaggio Masai (Tanzania)
Safari estremo nel Serengeti National Park
Il contatto visivo è tutto e i primi secondi sono decisivi. Questo non è uno zoo, qui basta un nulla per morire. La situazione inizia a distendersi solo quando gli animali capiscono che tu non sei un pericolo per loro ed allora si abituano alla tua presenza: non sei più una preda. Il secondo avvistamento è un’altra famiglia di ghepardi. Sono in cinque, la madre coi quattro cuccioli. La guida mi spiega che i piccoli rimangono insieme alla mamma fin quando non sono in grado di procurarsi il cibo da soli. Iniziamo a seguirli, passo passo, mentre vanno a caccia di gazzelle. Una guerra, la loro, di posizione e pazienza. Ognuno calcola le distanze per la propria sopravvivenza: i ghepardi per mangiare e non morire di fame, le gazzelle per non essere mangiate.
Il terzo avvistamento è un branco di elefanti intenti a bere in uno scenario surreale… è quasi come osservare tanti piccoli Dumbo che sguazzano felici in un lago dai colori tenui e fiabeschi. Ma anche loro, se molestati, mostrano le “zanne”…
Ultimo avvistamento: i leoni. Notiamo in lontananza due coppie di Simba (loro li chiamano così), l’una a poca distanza dall’altra, insieme ad gruppo di cinque femmine acquattate sotto un albero. Ci avviciniamo e riusciamo a scattare foto soltanto alla prima coppia.
Dopodiché c’è qualche intoppo, la jeep si incaglia nel fango, non riusciamo a muoverci, i leoni sono accanto, la paura sale… I cellulari non prendono e l’unico modo per risolvere la situazione è scendere dalla jeep e scavare laddove la ruota è rimasta infossata. Lo facciamo e tutto il resto è storia. Sì, è una gran bella storia che un giorno racconterò ai miei nipoti. Ammetto di aver avuto paura, tantissima, ma ammetto anche di aver realizzato subito che questa è la vera essenza dei safari, soprattutto quando sei nel Serengeti, cuore selvaggio della Tanzania. Questo non è uno zoo, gli animali non sono controllati né fermati nei loro impulsi. L’importante, come sempre, è uscirne vivi senza rimanere cibo per le iene (ne becchiamo una proprio al rientro)! Per il resto, come usano dire qui, Hakuna Matata.
Zanzibar
DOVE DORMIRE A ZANZIBAR: Trova tutte le offerte
Ah Zanzibar, Zanzibar… non solo mi hai stregato, ma hai ridestato la parte più infantile e innocente del mio essere. Adesso come facciamo? Hakuna Matata. And that’s all.
Dolphin’s Bay, Zanzibar
Ogni qual volta il “capitano” della barchetta urla: “Eccoli, tuffati”, io mi butto a capofitto, senza un attimo di esitazione. Poi nuoto, gioco, li guardo. Loro ricambiano, fanno le capriole e continuano lungo la scia… e io allora di nuovo sulla barca, li raggiungo, mi rituffo, nuoto, gioco. Un susseguirsi magnifico…
Prison Island, Zanzibar
L’itinerario in Tanzania alla scoperta di Tanzibar mi conduce a Prison Island, una delle piccole isole che dista circa 20 minuti di barca dal porto di Stone Town, la Capitale, e custodisce al suo interno una vera e propria colonia di tartarughe da terra giganti. Mi fa davvero tenerezza toccare e accarezzare quelle che, idealmente parlando, potrebbero essere mie bisnonne e trisnonne in età ultra avanzata. Ognuna di queste tartarughe ha più di 100 anni e, nelle migliori delle ipotesi, è pronta a viverne altri 200…
Stone Town, Zanzibar
Trascorro la mattinata così, perdendomi tra i portoni in stile arabo e indiano, seguendo i “veli” di donne e bambini, scoprendo moschee e forti nascosti, soffermandomi dinnanzi alla casa in cui nacque Freddie Mercury… Ed è il miglior modo per concludere la parte di itinerario in Tanzania dedicata a Zanzibar.
Isola di Mafia
L’unica legge che vige a Mafia è quella della natura, del silenzio che avvolge ogni cosa, dei granchi che camminano indisturbati su una spiaggia deserta, per chilometri e chilometri. Qualche giorno fa, riferendomi a Zanzibar, scrissi “Welcome to Paradise”. Forse mi sbagliavo, forse oltre al Paradiso c’è di più… e in questa parte di itinerario in Tanzania sto andando a scoprirlo, mentre l’alba mi saluta e l’Oceano mi osserva…
Butiama Beach, Isola di Mafia
Sbarcare in mezzo all’Oceano vuol dire esser pronti a vivere come vivrebbe un vero Re su un’isola deserta. Vuol dire dormire sulla sabbia, letteralmente, mangiare pesce squisito e sempre fresco, avere la possibilità di fare escursioni, diving, snorkeling, rilassarsi su un’amaca, fare una pennichella a un passo dal mare, pranzare con vista “Indiana”. Vuol dire esser circondati da un silenzio assordante, ritrovare se stessi in mezzo a una distesa di pace e tranquillità, entrare a diretto contatto con la natura più vera… Come sto facendo io adesso, al Butiama Beach, piccolo paradiso all’interno di un altro paradiso.
E, vi prego, se è un sogno, non svegliatemi.
Parco Marino, Isola di Mafia
Mafia Island
E come potrebbero? E’ una cosa indescrivibile, una cosa che va oltre le parole scritte, una cosa che ci ricorda quanto incontrollabile e incontrollata sia la forza della natura.

Questa mattina ho camminato per centinaia e centinaia di metri su una landa di terra che, fino a ieri sera, era Oceano Indiano ed ho ritrovato, sparse sulla sabbia, tutte quelle meraviglie che ieri avevo visto con maschera e pinne sui fondali, facendo snorkeling. Erano tutte lì, come in un limbo, in attesa che l’alta marea tornasse di nuovo per ridar loro il manto azzurro con cui usano coprirsi ogni giorno… Ho giocato con loro, mi sono beata tra Stelle Marine e conchiglie, ho danzato in un vortice di emozioni uniche e sì, anche oggi mi sono sentita una bambina felice.
Grazie Africa.
Day 13. Kilindoni, Mafia Island
Oggi faccio una passeggiata lungo la via principale di Kilindoni, tra tuk tuk (mezzo di trasporto di Mafia), casupole di legno, tetti di paglia e sorrisi di bimbi dolcissimi. Sento che il mio itinerario in Tanzania sta per concludersi ed ho già una fitta al cuore.
Goodbay Africa
Così, infine, ho terminato il mio itinerario in Tanzania. E sebbene siano ormai trascorse più di 26 ore da quando ho detto “ciao” al Continente Nero, questa atroce fitta al cuore che mi porto dietro da Mafia Island non è ancora passata. Io non so se sia il famoso Mal d’Africa, non sono mai stata tipo da cliché né mi va di iniziare proprio adesso. Io so soltanto che questo dolore silente continua ad aumentare, di minuto in minuto. Aumenta in intensità, dimensione, vigore, colore. Passa dal blu dell’oceano all’arancione dei leoni, dal giallo delle giraffe al nero dei Masai, dal verde di ‘Ngorongoro al bianco dei sorrisi dei bambini incontrati per strada… No, davvero, io non so se questo sia il Mal d’Africa. So soltanto che adesso apro la valigia e ci ritrovo dentro storie vere, esperienze vere, emozioni vere. Ci ritrovo un Continente fino a ieri conosciuto solo attraverso la tv, internet, i libri… alla fine lo sappiamo tutti che in Africa si muore di fame, ce lo insegnano fin da quando siamo piccini. Lo sappiamo tutti che lì si vive con nulla, si brama per una caramella, le scuole sono baracche, i bambini sguazzano a piedi scalzi nel fango, gli ospedali sono chimere, la miseria è assoluta, così come la disorganizzazione, l’approssimazione, i pasticci… ma una cosa è saperlo, una cosa è viverlo sulla propria pelle.
Ecco, io ho avuto la possibilità di far scontrare, con violenza, tutto il mio europeismo con l’Africa più interna e più genuina. Ho capito che i nostri sono mondi completamente opposti, distanti anni luce. Noi, coi nostri affanni, il nostro correre perenne (verso dove poi?), le nostre ansie per “cosa mangiamo oggi?”, “dove andiamo?”, “prendo macchina o motorino?”, il nostro voler controllare tutto e tutti ad ogni costo, anche la natura, la nostra fretta come se fossimo sempre in ritardo su una qualche assurda tabella di marcia…. e poi loro, con il “pole pole” (piano piano), il cammino lento di chi sa che, sia oggi, domani o dopodomani, alla fine arriva sempre dove deve arrivare, il loro Hakuna Matata anche quando cancellano per sbaglio voli/aerei/ordinazioni, il loro lasciare che la vita scorra, inesorabile, senza tentare di modificarla in alcun modo, il loro conformarsi al volere della natura, senza opporsi mai (a che pro poi?), il loro assecondare il ritmo del tempo, delle maree, del sorgere e del tramontare del sole, senza ostacoli, senza frette, senza affanni….
Ecco, io ho imparato che tra noi e loro c’è un abisso, un abisso incolmabile. Ma la vera felicità dove sta? Forse, alla fine della fiera, il Mal d’Africa è proprio questo. E’ una domanda difficilissima che ti si insinua nel cuore, inizia a martellare fortissimo e non ti abbandona più. E’ la consapevolezza che il tuo correre, il tuo affanno, la tua fretta, la tua esigenza di manipolare e plasmare tutto e tutti non sono NULLA dinnanzi alla fame, alla potenza della natura, alla bellezza delle maree, alla forza del tempo. Dovevo percorrere un lungo itinerario in Tanzania per capire quanto valga poco la mia vita italiana e le convinzioni della mia vita italiana laggiù, nel Continente Nero…
Africa, Africa, in poche settimane ho imparato più qui che in ventinove anni di scuole, lauree, università, master. E che sia Mal o Ben, sappi che io da te ci torno. Hai ancora troppo da insegnarmi, e io ho ancora troppo spazio di cuore vuoto da colmare. Asante sana, per tutto.
Questo magico itinerario in Tanzania è stato reso possibile grazie alla collaborazione con Oropi Safaris.
Veronica Crocitti
4 Comments