Beirut, viaggio tra guerra, protesta e bellezza – Libano

by Veronica Crocitti
Beirut Libano Asia

Quando l’aereo via Istanbul sorvola di notte l’inconfondibile skyline dei grattacieli illuminati di Beirut, fronte mare, sono inevitabili le lacrime. Non perché siano belli, che anche visti così, nel cerchio di un finestrino dell’aereo in atterraggio, belli proprio non sono e non possono essere definiti tali. Ma l’emozione che suscitano ha radici diverse, è una commozione che risale alle immagini alla tv e ai tg con cui sei cresciuta, alla meraviglia mista all’apprensione di aver finalmente raggiunto quel luogo, che per te non è solo una città, ma il simbolo di un’intera area il cui mistero, fascino e dolore ti hanno accompagnato sin dall’adolescenza: è il Medio Oriente bellezza! E quei grattacieli neri e dorati, svettanti sulla spiaggia, protesi verso il mare come artigli, dritti e aggressivi come sentinelle di guardia alla notte, sono lì per gridarti che stai atterrando a Beirut…

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Beirut e la guerra civile

Beirut e le autobombe. Beirut e basta, nella notte limpida e profumata di fine giugno. Il transfert del progetto per cui sei sbarcata in Libano subito uscita dall’aeroporto ti strappa via dalla capitale, verso la costa e Jounieh, una cittadina più tranquilla, più addomesticata rispetto al dedalo di viuzze misto a strade ampie e lucenti e palazzoni in cemento armato da cui sfrecciano Suv immensi.

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Si torna a Beirut in un bel pomeriggio di sole, ospiti dell’Associazione Armena più grande del mondo. Persi nel grattacielo che ne accoglie le varie attività. Sulla terrazza, ci offrono la cena. Meraviglia di buffet imbandito delle delizie di una delle cucine migliori del mondo. Meraviglia, soprattutto di paesaggio: i colori vivissimi di un tramonto quasi tropicale emergono dal dedalo di ombre grigie e nere della città. A dividere tutto, come un nastro d’argento o uno specchio vibrante, il Mediterraneo.

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La terza volta ha il sapore di una fuga. In quattro si evade dalle apprensione di organizzatori e tranning e si conquista il centro. A piedi, soli. Noi e la città, calda, lucente. Il centro città è nuovo…troppo: trasuda di ricostruzione. Solo qualche palazzo, ancora, sopravvissuto al restauro, svetta con la facciata sfigurata dalle granate… come un reperto di un’altra epoca o di un altro mondo. Al posto della Parigi del Medio Oriente, spazzata via sino al ’90 dalla guerra civile e dai bombardamenti israeliani, svettano sontuosi palazzi ocra e bianchi, quasi a coprire, come il sipario porpora di un enorme teatro, oltre che le macerie, l’intero passato.

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IL CENTRO DI BEIRUT

Ma camminando per le eleganti strade del centro, tra negozi radical chic e vezzose piazzette con torri dell’orologio e caffè con i tavolini laccati di bianco, quasi si inciampa nel filo spinato. Soprattutto intorno ai palazzi governativi, fioccano i checkpoint militari. Grandi aree come perenni zone rosse, sono isolate e sottratte al resto del territorio urbano. Sole, viali eleganti e filo spinato, anche questa è Beirut. La moschea Mohammad Al- Amin: ocra, anch’essa ricostruita in parte. Sontuosa al suo interno, con il rosso e il blu del soffitto che specchia quelli del tappeto. Ha le cupole laccate di un blu intenso e per questo, immotivatamente, l’appelli confidenzialmente “Moschea Blu”.

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Se il centro sa di nuovo, il lungomare è di un moderno eccessivo. Eccoli i grattacieli dello skyline contro il mare. Qui regna il cemento e l’acciaio, reso accecante dal sole estivo. Il lungomare è un nastro scuro e lucido che separa i grattacieli dalla spiaggia sottile e dai lidi a cinque stelle. Sotto la ringhiera, anche qui occhieggia a tratti il filo spinato. È la quarta volta a Beirut, l’ultimo giorno, interamente dedicato alla città. Passeggiando dal centro al lungomare ci si perde in slarghi circondati da palazzi iper- moderni, che formano cortili con architetture geometriche e asettiche, bianche e grigie,e pozze grigio azzurro di strane fontane esangui.

GLI SCOGLI DEL PICCIONE

Poi ci sono i Pigeon Rock’s, gli scogli del Piccione. Il marrone che ruggisce contro il blu profondo del mare. Sembrano un’oasi sopravvissuta al cemento, forse per questo la città gli venera come attrattiva che parla di bellezza naturale e spontanea. Immutabile, contro la storia, contro ogni catastrofe…Finestra di roccia a conclusione del lungomare futuristico, circondata da estivi bar con terrazza panoramica. Una collezione di tavolini bianchi, ognuno dei quali offre un frammento di prospettiva sui due faraglioni che sembrano quasi in posa, corteggiati dai gabbiani e accarezzati dal mare.

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Trionfo di colori al tramonto, mentre verso la strada la città ruggisce delle auto fiammanti che corrono alla movida del centro, e verso il mare gli scogli si tingono d’ombra in un silenzio arcano, pacifico. Vecchio quanto la terra che esibiscono e espongono.

BEIRUT BY NIGHT

La città di notte è un formicaio di gente e auto. I locali ruggiscono di musica, interi edifici che esplodono di persone e luci colorate. Come a Jounieh i locali all’aperto con musica latino americana. Beirut by night: strade bloccate, risa, balli e alcool; mentre il giorno prima, nel venerdì nero del Ramadan, tre attentati hanno sconvolto il mondo e qui l’allerta è al massimo livello; mentre per spostarti al sud devi mostrare il passaporto a tre check-point militari; mentre la gente confessa che Si, le divisioni religiose sono ancora un grande problema; mentre si ammette che Si, la situazione in Siria rende ancora più instabile il paese: infuoca i confini e porta al collasso i campi profughi palestinesi; mentre ci sono Maroniti che preferiscono farsi chiamare fenici perché si vergognano ad essere etichettati come arabi; mentre a sud, nella bella Tiro, sventolano i manifesti dei martiri hezbollah. “Bailando”, tutta la notte, mentre le ragazze e i ragazzi affermano che No, assolutamente No, per nessuna ragione, per niente al mondo, vogliono un’altra guerra…

Eleonora Corace

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